top of page
IMG_20190720_090945-01-02.jpeg

Francesco d'Alessandro

move65

La fotografia si rivela come un foto-racconto che ci consente di entrare in punta di

piedi in una narrazione che non ha bisogno di parole.

Dalla visione immediata di una scena suggestiva o teatrale nasce lo scatto capace di rendere eterno quell’istante fugace e suggerire una trama dalle mille

interpretazioni. L’opera fotografica si riscopre così in tutta la sua potenza

comunicativa come strumento eccezionale per disegnare una storia, essenza

tangibile di un coinvolgimento emotivo, istintivo, ed è avvertita come chiave di

accesso per una nuova conoscenza del reale, in cui le singole parti vivificano il tutto

assumendo un significato interiore nell’incontro con lo sguardo attento.

 

Avevo 17 anni quando dalla scrivania di mio padre presi una Yashica Fx-3. Un nome come un ricordo che conserva inalterato ancora tutto il suo prestigio. Era un

modello completamente meccanico e compatto che portavo in giro sotto la sella della mia Vespa, motorino e che per anni si è prestata come una compagna di avventure in

avanscoperta. Di sicuro la prima maestra di sperimentazioni fotografiche senza

tempo, quelle che sono rese ancor più importanti oggi che il mondo dell’immagine si

svilisce nell’Iphoneography.

 

Con gli occhi spalancati su quello che ci gira intorno, riservo allo spettatore il piacere di meravigliarsi e di immergersi in un’esperienza visiva che travalica i limiti della rappresentazione figurativa, lasciando largo respiro ai sogni e alle illusioni.

Attraverso le mie immagini trapelano angoli bui e nascosti, verità velate, vie deserte,

palazzi storici e vedute incantevoli … la mia visione è quella di gettare un occhio

malizioso su quella Napoli che a molti resta inaccessibile. Ecco il fil rouge di una

fotografia metafisica, inusitata e dagli accenti immaginifici e liberatori.

Il risultato fotografico delle opere di Francesco d’Alessandro si rivela con uno

straordinario richiamo alle opere del pittore Giorgio De Chirico. Manifesti di una sensibilità morbosa, che si può definire tout court fotografia emozionale marchiata

di simbolismo.

(Jenny Longobardi, critico d’arte e giornalista)

bottom of page